Nella mente di ognuno di noi, dai bambini agli anziani, risuonano le parole “covid-19″, “metti la mascherina”, “stai in quarantena”, “disinfettati le mani e rispetta le distanze”… altro. Anche i bambini più piccoli sanno che “il coronavirus è una malattia che ti fa stare molto male” e che “per non prenderla bisogna stare lontani”. Durante la primavera del 2020 il lockdown si è presentato all’improvviso portando con sè un clima di angoscia per il contagio con la paura diffusa di ammalarsi, per poi sentire la stanchezza psico-fisica collegata alla noia, l’assenza dell’altro e della libertà di uscire, di giocare al parco: adulti e bambini costretti a casa privati della loro quotidianità. Parliamo di deprivazione sociale.
In questa situazione di precarietà di sospensione di rottura con con ciò che è stato fino a prima della pandemia, il prof Massimo Ammaniti, psicoanalista dell’età evolutiva, afferma che “il primo lockdown”, con le scuole per l’infanzia chiuse e i bambini rimasti in casa, ha rappresentato un periodo di sacrificio che ha posto numerosi problemi. In particolare all’inizio della pandemia non è stato semplice spiegarlo ai bambini in età prescolare: a 3 anni non è facile capire perché da un giorno all’altro ci si ritrovi costretti in casa e dire che fuori è pericoloso. Il rischio potrebbe essere che il bambino inizi a vedere il mondo esterno come una minaccia, inoltre sono mancati esperienze e stimoli sociali fondamentali quali svegliarsi la mattina, prepararsi, essere accompagnati dai genitori, incontrare gli insegnanti e i coetanei. L’identità dei bambini è molto legata ai ritmi, alle abitudini, ai riti della vita quotidiana e ai suoi ambienti, per cui, venendo meno questi elementi, i rischi sono il disorientamento e l’insicurezza. La quotidianità, infatti, rassicura i bambini e li conferma nella loro identità e nel fatto di vivere in un ambiente mediamente prevedibile. Queste mancanze, insieme all’assenza di altri stimoli importanti (il confronto con altri bambini, i giochi di gruppo, le attività scolastiche), hanno creato una vera e propria sindrome di deprivazione sociale.
Il prof. Massimo Ammaniti riferisce che alcune ricerche hanno messo in luce le difficoltà insorte nell’infanzia durante il periodo della pandemia: circa il 30% dei bambini ha avuto difficoltà e disturbi della regolazione emotiva, disturbi del sonno, irritazione, alti e bassi dell’umore, fino a comportamenti di opposizione, crisi di rabbia, ecc. “ Il cervello dei bambini è plastico”, quindi è chiaro che con la ripresa alla vita normale molti di questi disturbi passeranno ma una parte delle difficoltà potrebbe restare. Nell’attuale panorama pandemico, nel primo e nel secondo lockdown i genitori hanno problemi legati allo smart working, all’affollamento domestico, alla sfera economica, alla paura del virus. Questo ha inevitabilmente fatto sentire i suoi effetti sui bambini, in maniera differente a seconda dell’età. Fino ai 3 anni, hanno colto di più il cambiamento dei ritmi quotidiani, hanno capito che il mondo esterno non era più raggiungibile e lo hanno compreso, senza esserne consapevoli. I più grandi, invece, hanno percepito gli stati di animo e le emozioni dei genitori, assorbendone ansie, incertezze, timore del contagio.
Pertanto si consiglia ai genitori, per quanto possibile, che sarebbe auspicabile far in modo che i bambini in età prescolare frequentino la scuola dell’infanzia, anche se molti sono preoccupati per il contagio e preferiscono tenere i figli a casa. E poi accordarsi con altri genitori, favorendo gli incontri tra i piccoli per salvaguardare la loro vita sociale. Mentre per quanto riguarda i bambini in età scolare si suggerisce di “ri-creare ri-inventare” un ambiente familiare in cui il mondo del lavoro dei genitori sia ben separato dalla vita domestica, al fine di permettere ai figli di ritrovare il luogo nel quale sono cresciuti prima della pandemia.
(fonte; articoli scientifici prof Massimo Ammaniti, psicoanalista dell’età evolutiva)
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